Responsabilità degli enti ex D.Lgs. 231/2001

Responsabilità degli enti ex D.Lgs. 231/2001: la Cassazione precisa i requisiti di interesse e vantaggio. Nota a Cass. Pen. n. 22256 del 8 giugno 2021

La responsabilità ‘penale-amministrativa’ degli enti prevista dal D.Lgs. 231/2001 (Decreto 231”), che ormai da vent’anni impatta sulle imprese quale rischio legale da gestire, si fonda – com’è noto – sulla realizzazione di un illecito penale (c.d. reato-presupposto) da parte di un soggetto, di vertice o sottoposto, incardinato nell’organizzazione aziendale.

Ai sensi dell’art. 5 del Decreto 231 l’ente è però responsabile solo per reati commessi “nel suo interesse o a suo vantaggio”. La pronuncia in esame riguarda proprio la sussistenza di tale requisito nell’ipotesi di reati colposi di evento (es. lesioni personali) realizzati in violazione della normativa anti-infortunistica.

Il fatto concerne un incidente sul lavoro subìto, in un impianto di selezione di rifiuti della società poi imputata, da un dipendente della società medesima. Si trattava di un autista che, sceso dal proprio mezzo per compiere delle operazioni funzionali allo scarico di rifiuti, veniva urtato da un muletto, riportando lesioni gravi, consistenti nelle fratture della tibia e del piede.

La società di selezione dei rifiuti veniva chiamata a rispondere dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies D.lgs. n. 231/2001, in relazione al delitto di lesioni personali colpose ai sensi dell’art. 590 c.p. addebitato al datore di lavoro. Nello specifico, a quest’ultimo veniva contestata la circostanza di non avere organizzato una viabilità sicura regolamentando adeguatamente, con cartellonistica e segnaletica orizzontale, la circolazione nel piazzale esterno dell’impianto di selezione rifiuti.

L’ente veniva condannato sia in primo grado che in appello sul presupposto che il comportamento colposo rilevante – ovvero il deficit valutativo ed organizzativo rispetto al rischio di interferenza tra addetti allo scarico e i conducenti dei carrelli elevatori – si sia risolto anche in un interesse/vantaggio per la società.

Secondo tali giudici, nello specifico,  il vantaggio sarebbe consistito nella riduzione dei costi relativi all’attività del consulente per la revisione del DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza), nonché nell’aumento della produzione correlato alla mancata implementazione delle misure prevenzionistiche ritenute adeguate.

La difesa dell’ente ricorreva in Cassazione lamentando la non convincente motivazione in merito proprio all’asserita sussistenza del vantaggio dell’ente.

La Suprema Corte dapprima svolge una ricognizione preliminare dei principi generali in materia, precisando i connotati specifici delle nozioni di “interesse” e “vantaggio” ai sensi del Decreto 231.

Nello specifico, afferma la Corte, sussiste un interesse dell’ente “quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni de/lavoratore, ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica e la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche è l’esito non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa [ …]in materia di prevenzione». Precisa la Cassazione che «l’interesse è un criterio soggettivo, il quale rappresenta l’intento del reo di arrecare un beneficio all’ente mediante la commissione del reato, che deve essere accertato mediante una valutazione ex ante essendo del tutto irrilevante che si sia o meno realizzato il profitto sperato».

Il requisito del vantaggio è invece, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, un “criterio oggettivo, legato all’effettiva realizzazione di un profitto, di importo non irrisorio, in capo all’ente quale conseguenza della violazione delle regole cautelari antinfortunistiche, il quale deve essere analizzato, a differenza dell’interesse, ex postsenza che sia necessario che il reo abbia volontariamente violato le regole cautelari al fine di risparmiare, in quanto la mancanza di tale volontà rappresenta la sostanziale differenza rispetto all’interesse». Precisa inoltre la Corte che “ ai fini dell’integrazione del requisito del vantaggio non è necessaria la sistematicità delle violazioni antinfortunistiche, essendo ravvisabile tale criterio di imputazione anche in relazione a una trasgressione isolata, allorchè altre evidenze fattuali dimostrino la consistenza del vantaggio derivato all’ente dalla commissione del reato, in quanto la sistematicità della violazioni attiene al piano prettamente probatorio, quale possibile indizio della consistenza del vantaggio.

Inquadrata la distinzione tra interesse e vantaggio, la Corte affronta il motivo di impugnazione avanzato dalla difesa, riconoscendone la fondatezza.

Nello specifico la Cassazione sottolinea come l’ente si fosse effettivamente avvalso di un consulente per predisporre un DUVRI, seppur i presidi consigliati fossero poi difformi da quelli indicati dalla ASL. Difficile in ciò ravvisare il vantaggio consistente in un risparmio di spesa: una consulenza DUVRI con contenuti semplicemente diversi ( in quanto conformi a quanto indicato dagli ispettori ASL) difficilmente avrebbe avuto un costo più elevato rispetto a quello comunque sopportato dall’impresa.

Anche in relazione al ritenuto aumento produttivo derivante dall’adozione di adeguata cartellonistica e segnaletica orizzontale, la Corte di Cassazione fa propri i dubbi della difesa, la quale sottolinea il carattere meramente presuntivo delle conclusioni dei giudici di merito, i quali non danno conto delle “prove dalle quali hanno desunto il vantaggio conseguito dall’ente, in termini di apprezzabile risparmio di spesa e di apprezzabile accelerazione del processo produttivo, nonostante le specifiche censure mosse sul punto con l’atto d’appello, avverso la sentenza di primo grado”.

La sentenza offre interessanti leve difensive nell’ambito della responsabilità ai sensi del Decreto 231, tentando di circoscrivere la discrezionalità giudiziale nell’interpretazione dei concetti di “interesse” e “vantaggio”, nella prospettiva di “impedire un’applicazione automatica della norma che ne dilati a dismisura l’ambito di operatività ad ogni caso di mancata adozione di qualsivoglia misura di prevenzione”.

(riproduzione riservata)

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