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Le agevolazioni sugli intangibles

Le agevolazioni sugli intangibles

  1. Premessa:
La Legge 190/2014 (legge di Bilancio 2015) ha finalmente introdotto in Italia un regime di favore per i redditi conseguiti grazie allo sfruttamento diretto o in licensing dei beni immateriali presenti in azienda. Si tratta del Patent Box, una normativa che, a partire dall’inizio degli anni 2000 in poi, è stata adottata con varie sfumature e declinazioni da parecchi paesi europei.
A Francia (2000) e Ungheria (2003) si sono presto aggiunti, tra gli altri, Belgio (2007), Olanda (2007), Lussemburgo (2008), Spagna (2008), Regno Unito (2013) e Portogallo (2014).
Ad oggi, la normativa italiana ad hoc per i patent è effettiva ormai da due anni: gli ultimi dati, così come riportati nella relazione di accompagnamento alla manovra correttiva della Legge di Bilancio 2017, riferiscono che sono poco meno di 5.000 le istanze presentate nel primo anno di applicazione del regime agevolativo, per un reddito da IP dichiarato di circa 700 milioni di euro nel solo 2015.
Al netto della abituale lentezza dell’Amministrazione italiana nel portare a termine gli accordi di ruling richiesti da piccole, medie e grandi imprese nel nostro territorio, il regime, che consente ai percettori di reddito da patent di dedurre, ai fini IRES e IRAP, fino al 50% del proprio fatturato (era 30% nel 2015, 40% nel 2016), non può che fare bene al sistema industriale nostrano. Infatti, come ci hanno dato modo di verificare le esperienze portate avanti fino ad ora negli altri Paesi UE, una normativa fiscale su misura per i beni immateriali, come il nostro Patent Box, dà respiro alle imprese in termini di minore aliquota totale sul fatturato complessivo, consentendo, allo stesso tempo, la liberazione di risorse da investire in ulteriori progetti di ricerca e sviluppo.
Naturalmente i dettagli del regime agevolativo incidono molto sul risultato finale: le normative presenti nei Paesi europei che adottano un IP Box, pur allineandosi al contesto generale delle indicazioni fornite nel 2015 dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, differiscono principalmente per tre aspetti: a) il range di beni immateriali agevolabili; b) la qualifica dei costi sostenuti per ottenere lo specifico IP in azienda (con particolare riferimento al nexus approach); c) l’effettiva aliquota fiscale applicata al reddito di impresa.
Mentre i dettagli tecnici del box italiano saranno approfonditi più avanti, vale la pena, qui, evidenziare la ratio delle direttive comunitarie e le principali scelte fatte da quei Paesi che si sono dotati di questa disciplina agevolativa prima di noi.
Il testo delle quindici azioni che costituiscono il progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) dell’OCSE, annunciato durante il G20 del 2013 a Mosca, è rimasto in via di sviluppo e consolidamento per due anni prima di essere definito attraverso i Final Reports del 2015.
Tale testo ha alla base l’obiettivo dichiarato di rendere coerenti le politiche fiscali degli Stati a livello globale, di fornire soluzioni pratiche al problema della localizzazione delle attività trans-nazionali delle imprese e di condividere l’approccio delle amministrazioni nazionali ad una maggior trasparenza a livello finanziario.
L’intento è chiaramente consultivo, ma le indicazioni contenute nel testo hanno determinato degli standard di riferimento di cui è difficile non tenere conto: la competizione legislativa così innescata in ambito fiscale, se da un lato porta con sé le inefficienze che sempre ci sono quando norme a carattere generale devono essere adottate da tanti soggetti particolari quali sono gli Stati nazionali, dall’altro ha contribuito certamente all’introduzione di regimi favorevoli allo sviluppo e alla fortificazione dell’industria ad alta digitalizzazione e innovazione.
Rispetto a Paesi che non hanno previsto un contenitore fiscale su misura per i beni intangibili, gli adopter europei, infatti, hanno da un lato attratto risorse immateriali provenienti dall’estero, mentre dall’altro hanno generato un aumento, a seconda dei casi più lieve o più significativo, degli investimenti in ricerca e sviluppo.
Sul primo dei tre aspetti che caratterizzano un regime di Intangible Property Box, ovvero la tipologia di beni immateriali che rientrano nell’ambito oggettivo del regime fiscale di favore, è necessario partire, ad avviso di chi scrive, dalle categorie di IP agevolabili su indirizzo dell’OCSE: la prima, fondamentale e presente in tutte le normative che hanno visto la luce fino ad ora, è necessariamente costituita dai brevetti e dai beni che funzionalmente possono definirsi equivalenti ai brevetti.
Rientrano tra questi ultimi i cosiddetti supplementary protection certificates, corrispettivo anglosassone dei certificati complementari di protezione, concessi in Italia ai sensi del Codice della proprietà Industriale.
Una seconda categoria di beni ovunque agevolabile (fatta eccezione per i casi inusuali di Francia e Spagna) è quella del software protetto da copyright, diritto anch’esso funzionalmente equivalente al brevetto, e oggetto target di agevolazione in quanto perno dell’industria moderna ad alta innovazione tecnologica e digitale.
La terza categoria di beni definita in maniera ampia dal testo dell’Action 5 è di carattere residuale: la definizione “other IP assets that are non-obvious, useful and novel” lascia, evidentemente, margine ai governi nazionali di definire limiti e possibilità di agevolazione su misura per la propria giurisdizione.
Non è un caso, infatti, che il Know How industriale costituisca bene agevolabile solamente secondo le normative italiana, spagnola e portoghese mentre i disegni e i modelli trovino un regime di tassazione di favore unicamente in Spagna, oltre che in Italia, stando al Patent Box così come disegnato dal legislatore in via originaria.
Ancora, le privative riferibili alle nuove varietà vegetali trovano esenzione parziale dal reddito imponibile in Olanda, Regno Unito ed Italia, mentre gli altri Paesi europei, tra cui Belgio, Francia e Irlanda, non le includono nell’ambito di applicazione dell’agevolazione.
Vengono lasciati da parte, in maniera tassativa, dalle previsioni dell’Action 5 così come redatto nella versione finale del 2015, i cosiddetti marketing-related IP assets, con la presunzione che marchi e altri diritti immateriali attinenti alla sfera commerciale dell’azienda costituiscano una fonte potenziale di competizione fiscale al ribasso tra imprese e Stati, non essendo chiaro, per il consesso di governi riunitosi in occasione del Forum on Harmful Tax Practices, il nesso tra l’attività materiale di ricerca e lo sviluppo del marchio commerciale (fondamento del nexus approach, come meglio delineato in seguito).
Un punto cruciale, soprattutto nel caso italiano, come sarà approfondito più avanti nel testo.
Di particolare interesse diventa capire, a questo punto, i motivi per cui i diversi Paesi europei adottano discipline distinte circa la definizione del reddito agevolabile, sia attraverso differenti definizioni di costi di ricerca e sviluppo sostenuti dalle imprese qualificabili ai fini dell’agevolazione, sia attraverso la previsione di differenti approcci circa la proporzione di agevolazione da concedere nel caso di IP prodotti all’interno/esterno del territorio nazionale.
Una delle ragioni alla base del fatto che l’OCSE, nell’ambito del riconoscimento di un IP Box come non dannoso alla concorrenza fiscale tra Stati, abbia particolarmente a cuore l’implementazione del modified nexus approach, è il criterio secondo cui la percezione dell’agevolazione debba avere come sottostante l’effettivo comportamento virtuoso da incentivare (in questo caso l’incremento dell’attività di ricerca e sviluppo).
I diversi modi in cui le normative di IP Box sul continente consentono di determinare il reddito agevolabile derivante da un bene immateriale riflettono proprio questo aspetto cruciale. In generale, la quota parte di reddito riferibile al bene intangibile non è interamente detassata, ma viene rimodulata secondo un rapporto che tenga conto della proporzione dei costi sostenuti direttamente dall’azienda (costi qualificati, qualifying expenditures nel testo dell’Action 5) rispetto ai costi totali sostenuti per l’ottenimento di quel bene. Quest’ultima riproporzione dipende, appunto, da due fattori:
  1. La definizione di costi qualificati;
  2. La percentuale di costi non qualificati ammessa all’agevolazione.
Ripercorrendo insieme il percorso fatto dall’OCSE nella previsione di un regime IP ideale, sono da segnalare i seguenti passaggi: un approccio iniziale alla qualifica per l’agevolazione è stato quello di applicare il regime di favore ai detentori di IP che, semplicemente, fossero titolari di reddito di impresa collegabile al bene immateriale (value creation approach).
Questo senza prevedere né un discrimine, quindi, relativamente all’effettivo sostenimento di costi e spese in ricerca e sviluppo, né un diverso trattamento degli stessi ai fini della riproporzione del reddito agevolabile.
Il secondo approccio trattato è definito come transfer pricing approach: la determinazione del reddito agevolabile dipendeva dalla titolarità del bene, dall’uso del bene all’interno della particolare giurisdizione nazionale e dall’effettivo sostenimento del rischio di impresa legato al reddito derivante dall’utilizzo di quello stesso bene. Il reddito così individuato era agevolato per intero.
Il terzo approccio, giudicato virtuoso dal punto di vista degli incentivi, e tutt’ora definito come standard di riferimento dall’OCSE per i regimi di IP Box nazionali, è il già citato modified nexus approach. Come riportato dal testo dell’Action 5, viene dato rilievo alla substantial activity sostenuta dall’azienda per arrivare alla creazione di quel determinato bene immateriale: è così che, oltre ad includere nell’ambito dell’agevolazione i costi di acquisto di un IP esterno e i costi di ricerca inter-company (i costi non qualificati), viene data importanza non tanto all’ammontare dei costi sostenuti per la creazione dell’IP, quanto alla proporzione dei costi sostenuti direttamente dall’impresa rispetto al totale.
Nella pratica, nel calcolo di questa proporzione (lo si vedrà bene quando approfondiremo il calcolo del nexus nel caso italiano), è previsto un up-lift dei costi qualificati al numeratore, che tenga in considerazione la quota parte dei costi non sostenuti direttamente dall’impresa per lo sviluppo del bene.
Un esempio pratico è rappresentato dalla Francia (ma anche dall’Ungheria, dalla Turchia, da Malta e da Cipro): un’azienda può agevolare il reddito derivante da un patent acquisito fuori dal suo territorio, fino a concorrenza della massima aliquota agevolabile. Messa in termini numerici, se “A” compra il brevetto da “B”, che ne ha sostenuto tutti i costi di sviluppo, “A” può riportare il 100% del fatturato derivante da quel brevetto sotto il cappello dell’agevolazione; viene così meno, in teoria, il nesso tra fine normativo dell’agevolazione ed effettivo sostenimento del comportamento che si vuole agevolare, cioè l’investimento produttivo in ricerca e sviluppo.
Trasversalmente ai regimi in corso sul continente, si possono trovare vari gradi di proporzionalità concessa rispetto a questo tipo di costi: le linee guida OCSE identificano nel 30% la percentuale corretta da applicare ai costi d’acquisto esterno (e ai costi di sviluppo su aziende collegate), così che meno costi sono sostenuti internamente (o extra-muros), minore sarà l’agevolazione di cui poter usufruire.
Per ciò che riguarda il terzo punto caratterizzante i regimi di IP Box nei diversi Paesi, le aliquote fiscali effettive di tassazione dei redditi da IP variano, grazie alla previsione del regime fiscale di favore, dal 15,5% della Francia e il 14,75% del Portogallo, tra le aliquote effettive più alte in Europa, al 10% effettivo del Regno Unito e, addirittura, al 5% di Belgio e Olanda. L’Italia, si colloca nella fascia alta di tassazione, prevedendo una tassazione dei redditi provenienti dallo sfruttamento del bene immateriale pari al 13,9% (calcolato come aliquote IRES e IRAP applicate al 50% del reddito agevolabile)
  1. Le finalità perseguite dal legislatore Italiano ed il “caso” marchi.
Il regime agevolativo italiano riprende volutamente spunti e riflessioni fatti dal Forum on Harmful Tax Practices, in materia di determinazione dei prezzi di trasferimento nell’ambito di transazioni correlate.
Il principio affermato prima nelle linee guida OCSE e poi nel documento finale costituito dal Final Report del 2015 trova ampio spazio d’azione e di applicazione nei testi legislativi che costituiscono la base normativa sul regime del Patent Box.
Come si è potuto vedere, l’arms lenght principle guida forma e sostanza della nostra normativa: da un lato la ratio del legislatore è stata quella di aggiornare la prassi italiana ad approcci fiscali utili ed, ormai, consolidati nel panorama europeo, così da permettere ad una grande parte del sistema produttivo nazionale di orientarsi e rimanere competitivo; dall’altro, le modalità tecniche di definizione dell’agevolazione si rifanno spesso e volentieri al dettato delle considerazioni fatte dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico durante gli incontri del G20, sia nella definizione dell’ambito oggettivo, che a proposito delle metodologie di determinazione del contributo economico al reddito di impresa afferente al bene immateriale oggetto dell’agevolazione.
L’introduzione di un’imposizione agevolata per i redditi riferibili all’utilizzo dei patent presenti in azienda è un punto fondamentale dal quale partire per inserire l’Italia nel contesto più ampio della competizione su scala internazionale con riguardo ai redditi da intangibles, per definizione mobili, e più di tutti potenzialmente oggetto delle pratiche di Base Erosion e Profit Shifting alle quali il Report dell’OCSE vuole dare un freno.
Inoltre, come vedremo più avanti nel testo, un contributo simile, declinato bene a livello normativo, e inserito in un contesto più ampio di programmazione fiscale da parte delle aziende, è capace di mettere in moto quei meccanismi virtuosi per la creazione di valore, che hanno come fine ultimo l’incentivazione della spesa totale in ricerca e sviluppo di asset sul territorio, e, come primo risultato, l’attrazione di quegli investimenti esteri che trovano, nelle opportunità offerte dall’agevolazione da patent, un terreno fertile per la propria redditività.
Negli ultimi anni, l’interesse verso le agevolazioni nei confronti dei beni intangibili dell’azienda (il più generico IP Box, prende il nome, talvolta, di Patent Box, come nel caso italiano, o anche di Knowledge Development Box, come nel caso irlandese), è stato forte sia dal punto di vista governativo che da quello accademico.
Le più recenti ricerche, infatti, in linea con le aspettative dei Paesi che hanno adottato i regimi di favore in oggetto, contribuiscono al crescente entusiasmo verso la normativa speciale. Barrios, Vezzani (2015), per esempio, trovano che i regimi di IP Box hanno un effetto più che significativo nell’attrarre i flussi di cassa generati dai Patent nella base imponibile nazionale.
Per di più, l’effetto attrattivo è maggiore per quei patent di qualità, che, sviluppati da multinazionali all’esterno dei confini della giurisdizione territoriale, trovano nel regime agevolativo creato un’ottima occasione di incrementare flussi reddituali già forti, localizzando maggiori risorse in termini di investimenti esteri nel Paese.
L’effetto cumulato di attrazione di patent già esistenti con lo sviluppo di nuovi, è evidenziato numericamente da un’altra ricerca del 2015, in cui viene stimato un incremento del 3% del numero delle istanze presentate nel territorio dello stato, ai fini dell’ottenimento dell’agevolazione, per ogni punto percentuale di risparmio che si ha rispetto all’aliquota fiscale piena.
La previsione del nexus approach, all’interno delle soluzioni di calcolo  dell’agevolazione trovate dai vari regimi, è un altro tema di grande dibattito, anche se, sotto questo punto di vista, le opinioni sono ancora lontane dall’essere definitive: di certo è che il legame tra fruizione dell’agevolazione ed effettivo sostenimento di spese per lo sviluppo dell’IP, porta benefici in termini sia di spillover effects sui Paesi dai quali i patent provengono, sia in termini di incremento della spesa domestica in ricerca e sviluppo.
La scelta del regime italiano, allineato per intero al nexus approach così come suggerito dalle direttive OCSE, vuole essere orientata in questo senso, dove i risparmi fiscali concessi sui redditi da patent, si prevede saranno accompagnati da un sostanziale incremento delle attività di ricerca e sviluppo condotte sul territorio.
I numeri del regime di Patent Box italiano ancora non tengono conto delle variazioni nelle attività di ricerca nel Paese. Fino ad ora, i dati che si possono mettere a confronto sono soltanto quelli relativi al numero di istanze presentate, alle categorie di beni immateriali preferiti, alla suddivisione delle istanze di ruling per ordine di fatturato.
Il quadro che ne esce fuori è il seguente: ben il 30% delle richieste (ovvero di istanze presentate a fronte di obbligo per l’utilizzo diretto dell’IP, o a fronte di facoltà dell’istante, per l’utilizzo indiretto dell’IP) è stata fatta da piccole e medie imprese (da 10 a 50 milioni di fatturato annuo), per le quali, tra l’altro, è prevista una procedura di ruling semplificata.
Da segnalare come, sulle 5.000 istanze presentate per l’anno di imposta 2015, il primo dopo l’introduzione dell’agevolazione, in cui la quota di reddito agevolabile era del 30%, la maggior parte delle richieste di accordo preventivo verteva sui marchi di impresa (36%), a seguire sul know- how (22%) ed infine sui brevetti (18%).
La discussione sull’ammissibilità, ai fini dell’agevolazione, del marchio di impresa, che in passato è stato il primo tra i beni immateriali per numero di istanze presentate, come noto, è entrata nel vivo in Italia: l’ultima manovra correttiva, di cui si è parlato tanto nelle ultime settimane, ha escluso questa categoria dall’ambito applicativo della norma.
L’intenzione da parte del governo di restringere il novero dei beni agevolabili è stata dettata, con ogni probabilità, dalla volontà di aderire in maniera armonizzata al sistema di incentivo fiscale delineato a livello europeo per i beni intangibili: la modifica era sicuramente attesa, da pochi auspicata, ma, finalmente, porterà qualche certezza in più tra le aziende contribuenti italiane che spesso contano sul proprio marchio come fattore chiave di redditività.
Infatti, a dire il vero, il nostro Patent Box era l’unico, tra quelli cosiddetti “post-BEPS”, a consentire l’agevolazione per i marchi ed il know-how commerciali; una scelta fatta a suo tempo, probabilmente con un occhio alle specificità del settore industriale italiano, e su cui il legislatore si è detto pronto a tornare indietro, allineandosi, almeno parzialmente, a quanto suggerito dall’OCSE.
Le istanze per cui già si era conclusa la procedura di ruling sul marchio, o comunque, presentate per l’agevolazione prima del 30 giugno 2016, potranno continuare ad ottenere il beneficio previsto dal regime agevolativo, almeno fino all’anno di imposta in corso 2021.
Rimane il fatto che, nel caso italiano, l’esperienza sui marchi era stata fino ad ora più che positiva, come dimostra il caso dei brand italiani nel settore della moda e dell’abbigliamento retail, con Ferragamo e Coin tra i primi ad ottenere l’agevolazione per i loro marchi. Quest’ultimo, per esempio, stima un risparmio di imposta netto nei 5 anni di agevolazione, pari a 10 milioni di euro.
Fatto sta che, seppur molte aziende italiane avrebbero potuto trarre legittimo vantaggio fiscale dal riconoscimento della loro forza commerciale e delle quote di mercato conquistate grazie ad essa, l’esclusione di cui si parla nella manovra correttiva alla Legge di Bilancio 2017 sembra che verrà effettivamente compiuta.
  1. Come si concretizza l’agevolazione del bene immateriale: il profilo tecnico della normativa italiana
I caratteri distintivi della disciplina fiscale italiana sui redditi da Intangibles sono stati giudicati sin da subito particolarmente estesi ed inclusivi sia rispetto all’ambito soggettivo che all’ambito oggettivo dell’agevolazione.
La lista dei beni agevolabili secondo il decreto originale, come si è avuto modo di osservare prima, costituiva un unicum in Europa, e, per l’appunto, lo sarà ancora fino a quando il legislatore non provvederà a dare attuazione al programma di revisione del regime, così come previsto dall’ultima manovra correttiva alle disposizioni finanziarie contenute nella Legge di Bilancio 2017.
In particolare, aggiornando la lista a queste ultime disposizioni normative, il contenuto del Patent Box nostrano prevede le seguenti tipologie di beni immateriali agevolabili:
  1. Brevetti industriali, concessi o in corso di concessione, ivi inclusi brevetti per invenzione, invenzioni biotecnologiche, brevetti per modelli d’utilità, brevetti per varietà vegetali e topografie di prodotti a semiconduttori, certificati complementari per prodotti medicinali e per prodotti fitosanitari;
  2. Software protetto da copyright;
  3. Disegni e modelli d’utilità, giuridicamente tutelabili;
  4. Know how, intendendo con questo i processi, le formule e le informazioni relative ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico, giuridicamente tutelabili.
Lasciando da parte la discussione già affrontata sui marchi, la particolarità italiana sussiste ancora con riferimento al know how: i regimi presenti negli altri Paesi europei, ad eccezione della Spagna, non prevedono agevolazioni per questo IP, ma il requisito della potenziale tutela giuridica renderebbe la normativa in linea con le previsioni dell’OCSE.
In particolare, per essere considerato giuridicamente tutelabile, il know how deve essere certamente segreto, con riferimento alla precisa configurazione e combinazione degli elementi che lo compongono; deve avere valore economico, cioè procurare un potenziale vantaggio competitivo a chi lo detiene o lo ha sviluppato; deve essere sottoposto a misure tali da mantenerlo e conservarlo come segreto.
È il caso, questo del know how, di qualunque tipo di conoscenza sviluppata dall’imprenditore o dai dipendenti di un’impresa nell’ambito del loro lavoro che si rifletta in un chiaro vantaggio competitivo a favore dell’azienda.
Consideriamo, ad esempio, il caso dell’insieme di formule chimiche adoperate da un’azienda farmaceutica per lo sviluppo di un prodotto, delle istruzioni all’uso di macchinari eventualmente anch’essi oggetto di proprietà esclusiva dell’azienda, delle ricette studiate ad hoc per l’ottenimento di un prodotto o di un genere alimentare o, ancora, di una particolare essenza di profumo, o il caso di quei processi di produzione innovativi che non trovano riconoscimento in forme di tutela previste dalla normativa italiana: sono tutti esempi di beni solo sporadicamente contabilizzati a bilancio, ma che spesso restituiscono all’imprenditore  grande valore di scambio, che sia questo riflesso nel reddito derivante dalla vendita dei prodotti sviluppati grazie al know how, o che costituisca il controvalore di una transazione nell’ambito di una vendita di asset, di ramo d’azienda, di società; e, perciò, meritevoli di tutela fiscale al pari di altri beni immateriali agevolati.
Meno giustificabile, fatte queste premesse, risulterebbe il know how relativo alle conoscenze commerciali, e cioè il complesso di conoscenze riservate in merito alle tecniche di vendita di un prodotto, alla commercializzazione di un brand, alla capacità, pure unica in determinati casi, di un’azienda di gestire il proprio portafoglio clienti e sponsor.
Ad ora, il legislatore non ha ritenuto di dover eliminare il know how in ogni sua forma dall’ambito applicativo della norma: a ragion veduta, a parer nostro, considerando anche la percentuale di istanze con oggetto il know how arrivate all’Agenzia delle Entrate fino ad ora (22% sul totale).
E, in ogni caso, è difficile dire al momento quale efficacia retroattiva possa avere una eventuale futura cancellazione di questa tipologia di IP dal regime di favore, ora che il limite posto dalle indicazioni OCSE è ormai lontano (il 30 giugno 2016 è la data oltre la quale “no new entrants will be permitted in any existing IP regime not consistent with the nexus approach”, secondo il Report Finale del 2015).
Proseguendo con la rassegna tecnica del regime italiano, per ciò che rimane, si hanno due profili principali che vale la pena approfondire: l’individuazione della particolare fattispecie di utilizzo del bene agevolabile e la procedura di calcolo da seguire per arrivare alla definizione del reddito agevolabile.
Il Decreto Attuativo contenente le disposizioni applicative del regime di Patent Box prevede due tipologie di utilizzo agevolabili tramite opzione: si tratta della concessione in uso del diritto all’utilizzo del bene immateriale (cosiddetto utilizzo indiretto), e dello sfruttamento del bene immateriale nell’ambito delle operazioni di scambio ordinarie della società (cosiddetto utilizzo diretto).
È prevista una procedura di ruling obbligatorio per quelle aziende che vogliono agevolare il reddito derivante nel caso di utilizzo diretto del bene in questione; le aziende, invece, che fanno dello stesso bene un utilizzo indiretto, all’interno del proprio gruppo societario, possono attivare la procedura di ruling in maniera facoltativa.
La procedura ha ad oggetto la determinazione del reddito agevolabile ascrivibile all’utilizzo dei beni immateriali, che, quindi, fa da “cerniera” al box fiscale per i beni immateriali.
Prima di approfondire le diverse modalità di calcolo previste dal legislatore a seconda della tipologia di utilizzo che l’azienda fa del proprio IP, è importante evidenziare come egli, anche in questo caso, abbia fatto una scelta di coerenza con le indicazioni fornite, in ambito internazionale dall’OCSE, per la determinazione del valore concorrenziale di una transazione tra parti tra loro collegate.
Il riferimento all’arms lenght principle (il principio di libera concorrenza), infatti, sta alla base di questo doppio binario: viene dato atto, in questo modo, all’importante principio alla base della disciplina sul transfer pricing, nella parte in cui l’amministrazione decide di non voler intervenire nella definizione del contributo economico al reddito di impresa afferente al bene immateriale in questione, quando tale valore si arriva tramite normali scambi che avvengono sul mercato.
Il ruling, per transazioni intercorrenti tra parti tra loro indipendenti, è escluso, consentendo un esercizio dell’opzione più rapido e di sicura quantificazione.
Per ciò che, invece, riguarda il contenuto delle istanze nei casi previsti dalla normativa, il dialogo con l’Agenzia delle Entrate ha come obiettivo quello di aiutare l’azienda richiedente a venire a capo della determinazione del reddito agevolabile, ponendo la conclusione dell’accordo come ultimo e non più revocabile (per 5 anni) passo per la fruizione dell’agevolazione.
Lo strumento applicativo e preventivo del ruling, previsto dal legislatore come unica forma  di comunicazione e collaborazione tra fisco e contribuente, costituisce parte importante dell’intera previsione applicativa del regime di patent, determinando la base per arrivare a determinare la variazione in diminuzione del reddito, da segnalare all’Amministrazione, con certezza ed in completa pace dichiarativa.
Andando brevemente per punti, analizziamo i seguenti aspetti della normativa: contenuto delle istanze di ruling, relativamente alla modalità di determinazione del reddito agevolabile; previsione applicativa del nexus ratio; trattamento del corrispettivo da cessione del bene intangibile.
Con riguardo al primo punto, si è detto che il legislatore consente di determinare diversamente il reddito derivante da utilizzo diretto o indiretto dell’IP, prevedendo, rispettivamente, in un caso, la determinazione di un tasso di royalty implicita, incorporata nel prezzo di vendita del bene materiale ceduto o del servizio prestato, quale elemento positivo di reddito; nel caso di utilizzo indiretto, invece, come componenti positive di reddito, rientrano i canoni di locazione derivanti dalla concessione in uso del bene a terze parti indipendenti.
In entrambi i casi gli elementi negativi di reddito, da sottrare al fatturato lordo relativo al bene immateriale, sono costituiti dalla sommatoria di tutti i costi, diretti e indiretti, relativi alle attività connesse alla creazione, sviluppo, mantenimento e miglioramento del bene.
Con riguardo alla determinazione del nexus ratio, il legislatore italiano ha voluto rimanere completamente conforme alle linee guida OCSE, prevedendo due tipologie di costi così come di seguito:
  • Costi qualificati: costituiti dalle spese sostenute in house per la creazione, sviluppo, mantenimento, miglioramento del bene, e dalle spese per la creazione, sviluppo, mantenimento, miglioramento del bene esternalizzate a terze parti indipendenti, i cui costi ricadano completamente in capo all’azienda proprietaria dell’IP;
  • Costi totali: costituiti dalle due tipologie di costo precedenti, oltre che da i costi sostenuti per l’acquisto diretto dell’IP da terzi, o da società appartenenti al gruppo, e dai costi esternalizzati alle stesse società del gruppo per la creazione, sviluppo, mantenimento, miglioramento del bene;
I costi così determinati vengono rapportati tra loro per calibrare, secondo le previsioni del modified nexus approach, la quota parte di reddito effettivamente agevolabile ai fini del regime fiscale.
Il rapporto vede al denominatore l’ammontare di costi totali, e al numeratore la somma di due elementi: da un lato il valore dei costi qualificati; dall’altro il valore dei costi non qualificati (acquisto o spese esternalizzate all’interno del gruppo), fino a concorrenza di un ammontare pari al 30% dei costi qualificati.
Si avrà, perciò, che un’azienda che sviluppa completamente in proprio il bene immateriale, moltiplicherà per 1 il reddito individuato nella procedura di ruling, mentre il rapporto si abbasserà progressivamente, al salire dei costi non effettivamente sostenuti dall’impresa per la creazione, lo sviluppo, il mantenimento o il miglioramento del bene.
Un ultimo rilievo da fare a proposito della normativa italiana riguarda la previsione dell’agevolazione, solamente in via residuale, del corrispettivo della cessione di un bene immateriale utilizzato nelle modalità di cui sopra (direttamente o indirettamente dall’impresa); a seconda che la cessione avvenga nell’ambito di parti correlate o terze parti indipendenti, è prevista per il contribuente, rispettivamente, la facoltà di richiedere all’amministrazione finanziaria la determinazione del reddito agevolabile mediante la procedura di ruling, oppure l’esclusione da suddetta possibilità.
In particolare, secondo la norma originaria del 2014, almeno il 90% del corrispettivo ricevuto nella transazione deve essere investito, entro la fine del secondo periodo di imposta successivo alla vendita del bene, nella creazione, nello sviluppo, nel mantenimento o nel miglioramento di un altro bene immateriale, tra quelli che rientrano nell’ambito agevolativo del regime.
In questo modo, prevedendo un periodo di lock-up dell’investimento, la norma lascia un buon margine di azione all’impresa, relativamente alla programmazione finanziaria e fiscale dell’investimento dei proventi della cessione del proprio bene immateriale, come si accennerà nell’ultimo paragrafo di questo capitolo.
  1. Oltre il Patent Box: sinergie ed opportunità create dal “Piano Industria 4.0”
Gli sforzi profusi dal legislatore, negli ultimi due anni e mezzo, nel cercare di dare fiato e competitività ad un settore industriale italiano che, già nel 2014, aveva dato segno di riuscire a stare dietro al trend di ripresa internazionale, hanno decisamente inciso in positivo, offrendo spunti ed opportunità alle aziende che erano pronte a coglierli.
L’ambiente economico che si presenta ora in Italia, pur lontano dall’essere business-friendly, guarda senza eccessivo timore aldilà dei confini nazionali: l’introduzione del regime di Patent Box è soltanto uno tra i diversi tentativi di apertura dell’economia italiana alla competitività e alla sfida dei mercati esteri.
Proprio la Legge di Bilancio 2017, in questo senso, ha portato con sé novità incoraggianti dal punto di vista della tassazione totale effettiva sul reddito d’azienda; in merito, sono certamente da evidenziare le agevolazioni connesse al Piano Industria 4.0, la cui previsione è, nelle intenzioni, destinata a mettere in moto l’attività e gli investimenti in quei settori capaci del passaggio tecnologico e in quelli caratterizzati dall’alto contenuto innovativo.
Ci si riferisce, qui, ai seguenti istituti agevolativi:
  • Super-ammortamento sui beni materiali, ovvero la maggiorazione del 40% del costo d’acquisto di beni materiali strumentali, nuovi o in leasing, operante come deduzione dei maggiori canoni d’ammortamento fiscali dall’imponibile IRES;
  • Super-ammortamento sui beni immateriali, ovvero la maggiorazione del 40% del costo d’acquisto di beni immateriali strumentali, nuovi o in leasing, se connessi ai beni materiali ad elevato contenuto tecnologico, di cui alla successiva disciplina dell’iper-ammortamento, operante anch’essa come deduzione dei maggiori canoni di ammortamento fiscali dall’imponibile IRES;
  • Iper-ammortamento, ovvero la maggiorazione del 150% del costo di acquisto di beni materiali strumentali, nuovi o in leasing, funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale delle imprese, secondo il modello “Industria 4.0”. Rientrano, tra i beni strumentali agevolati esplicitamente dalla norma, ad esempio, le macchine il cui funzionamento è controllato da sistemi computerizzati, che siano interconnesse ai sistemi informatici di fabbrica, o con il suo sistema logistico o con la rete di fornitura;
  • Nuova Sabatini, contributo sui finanziamenti in conto interessi, maggiorato del 30% per finanziamenti finalizzati all’acquisto di beni strumentali rientranti nelle categorie “Industria 4.0.”;
  • Credito di Imposta per attività di Ricerca & Sviluppo, ovvero il riconoscimento di un credito di imposta, nella misura del 50% della spesa incrementale investita dall’azienda in progetti di ricerca e sviluppo, rispetto alla media di riferimento calcolata sul triennio 2012-2014; le spese rilevanti per l’ottenimento del credito sono quelle sostenute per particolari categorie di costo: personale tecnico ed altamente qualificato impiegato nell’attività si ricerca, quote di ammortamento di beni materiali usati in laboratorio, costi di ricerca e sviluppo extra-muros, sostenuti dall’azienda per l’esternalizzazione della ricerca a università, start-up innovative, consulenti operanti  in totale autonomia di mezzi ed organizzazione.
Il pacchetto di agevolazioni sopra delineato, aiuta a definire, nel suo complesso, un quadro di misure fiscali ad hoc per l’impresa che consente alle aziende, almeno sulla carta, di coprire gli investimenti necessari allo sviluppo tramite una adeguata programmazione fiscale nel corso degli anni.
Lo stesso Patent Box consente un risparmio fiscale importante, prevedendo, a conti fatti, una variazione in diminuzione della base imponibile IRES e IRAP effettiva tra il 5% ed il 14% del fatturato.
Le interazioni della normativa sugli IP con le altre agevolazioni connesse al Piano Industria 4.0 si prestano ad interessanti riflessioni.
Poniamo il caso dell’azienda Alfa, attiva nel settore dello sviluppo software, intendendo con questo l’attività di sviluppo, mantenimento e accrescimento di applicazioni e piattaforme online, che, dopo aver strutturato il piano industriale per il triennio di imposta 2017-2019, valutasse di:
  • Acquistare in licenza, da un’azienda del gruppo, diciamo l’azienda Beta, la concessione per l’uso di un software coperto da copyright;
  • Agevolare il reddito derivante, a sua volta, dalla concessione in licenza, alle aziende clienti, del software proprietario (coperto da copyright) tramite Patent Box;
  • Aumentare il budget a disposizione della divisione ricerca e sviluppo aziendale, per il periodo di riferimento, con particolare riguardo all’assunzione di personale altamente qualificato e specializzato nel campo dell’IT;
Se i costi sostenuti da Alfa sono, rispettivamente, 100 per l’acquisto in licenza del software dall’azienda Beta, e 100 per il mantenimento e l’ulteriore sviluppo in house del software, si otterrebbe una quota di reddito agevolabile pari al 32,5% delle royalties pagate dai clienti all’azienda Alfa. Il risparmio di imposta sarebbe nell’ordine dell’8% annuo.
Considerata la possibilità di istruire la pratica per il credito di imposta a partire dall’anno di imposta successivo a quello del sostenimento delle spese, Alfa otterrebbe ancora una quota di credito pari al 50% dell’investimento, da portare in compensazione di altri tributi o debiti tributari.
Ancora, poniamo il caso dell’azienda Gamma, operante nel comparto chimico, che, nell’ambito delle attività ordinarie di ricerca e sviluppo annuali, decidesse di:
  • Rinnovare la propria strumentazione materiale tramite l’acquisto in leasing di macchinari computerizzati e controllati da remoto, utili al continuo monitoraggio e alla valutazione dei processi di produzione, usufruendo dell’iper-ammortamento del costo di acquisto di questa particolare strumentazione;
  • Destinare il budget annuale di ricerca e sviluppo ad un progetto di ricerca sperimentale, che ha ad oggetto lo sviluppo di know how industriale, e che consiste nell’ottenimento di una particolare formulazione alla base del principale prodotto X, venduto dall’azienda;
  • Agevolare il flusso di cassa derivante dalla vendita del prodotto X ad aziende terze indipendenti, tramite esercizio dell’opzione di Patent Box su quel prodotto, nella previsione di una vendita futura del ramo d’azienda afferente a quel particolare prodotto.
Un’operazione del genere, portata avanti da Gamma tramite l’utilizzo in maniera congiunta delle agevolazioni previste dalla Nuova Sabatini e dall’iper-ammortamento sul finanziamento dell’acquisto dei macchinari in leasing, unito all’ottenimento del credito di imposta per le spese sostenute sugli stessi beni immateriali di cui all’Allegato A della legge di Bilancio 2017, consentirebbe di abbattere fino al 10 % il costo d’acquisto dei beni.
L’agevolazione da Patent Box, in questo caso, permetterebbe un ulteriore sconto fiscale sul reddito proveniente dal know how dell’azienda, che, se dovesse riuscire a vendere le sue conoscenze sul mercato, oltre a dedurre dal reddito imponibile di fine esercizio il 50% della plusvalenza da cessione, avrebbe in mano il 90% del corrispettivo da dover investire, per esempio, in una start-up innovativa.
Ecco che il Patent Box, pre-esistente al piano Industria 4.0, nella sua ultima versione, si integra bene con esso, lasciando intravedere grandi margini di leva fiscale e risparmio di imposta per il contribuente.
 

19 maggio 2017

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